Calenzano. Firenze. 10.20 del mattino.
Boooom. Trema tutto come fosse un terremoto.
Una colonna di fumo e le fiamme.
Ci sono morti e ci sono feriti.
In testa ognuno ha il pensiero che corre da qualche parte.
Viareggio. La strage di Viareggio. Con l’aria che prende fuoco anche dentro alle case.
Thyssenkrupp. Gli operai come torce umane, avvolti dalle fiamme che cadono e muoiono.
Esselunga. Il cantiere di via Mariti che crolla su se stesso e si porta via la vita di altri operai schiacciati dalle macerie.
Una bomba. Come quella ai Georgofili o come quelle che cadono in Palestina o a Beirut.
Tutto mischiato a quel fumo nero che sai che qualcuno respirerà e che puzza tanto di disastro ambientale.
Oggi tutto questo è successo al deposito carburanti di ENI a Calenzano, collegato da un oleodotto alla raffineria di Livorno.
Lì arriva il carburante che poi vieni caricato sulle autobotti. É stata una di quelle a fare il botto.
Qualche anno fa qualcuno l’aveva già detto che quel deposito carburanti era un rischio.
Era un azzardo.
Quando lo dici e niente è ancora successo, ti fanno passare pure per allarmista. Niente succede però, fino a quando qualcosa non succede.
È quello che stiamo dicendo anche rispetto al Comando NATO che vorrebbero insediare a Firenze Sud.
Perché le bombe ad orologeria prima o poi scoppiano.
Poi allora tocca fare la conta dei morti.
Dalla regia però ci dicono che questo è il “progresso” e non lo si può fermare…
ENI. La multinazionale italiana che deruba e depreda al ritmo delle missioni di guerra in mezzo mondo.
ENI. Che colora il suo simbolo di verde perché stipula l’accordo per la decarbonizzazione con Leonardo.
ENI. La multinazionale che ha stipulato un accordo con Israele per prendersi il gas in acque palestinesi.
ENI. Che non è solo sponsor della guerra, ma anche della Seria A di calcio.
Lasciamo da parte ogni inutile minuto di silenzio con cui vorrebbero zittirci.
Perché da zitti siamo tutti uguali e da zitti non facciamo paura a nessuno.
Perché non siamo tutti uguali.
Perché c’è chi muore lavorando e chi campa sul lavoro degli altri.
Perché i minuti di silenzio siano semmai quelli imposti dai lavoratori nelle officine, in cantiere o nelle piazze. Che non siano quelli dei responsabili o complici di tutto ciò.
Perché hanno già pensato anche a questo.
Agli anni di carcere che ti possono dare se esci dai confini che loro disegnano per noi, dai decreti sicurezza al DDL 1660.
Rompiamo ogni livello di falso cordoglio e misera retorica.
Poi coltiviamo ognun per sé e tutti assieme, le dosi di rabbia che l’ingiustizia di questo sistema ci riversa addosso ogni giorno.
Solo così, forse, da tutte queste morti qualcosa nascerà…