Partendo dall’esprimere solidarietà ai compagni e alle compagne del Laboratorio Politico Iskra e del Movimento Disoccupati “7 Novembre” di Napoli, ancora una volta colpiti dalla repressione, vogliamo mettere insieme alcuni spunti di riflessione.
I decreti sicurezza negli ultimi anni, da Salvini a Minniti, hanno fatto leva sulla costruzione della cosiddetta “emergenza immigrazione” per legittimare in realtà un piano repressivo sempre più specializzato, colpendo pratiche di lotta e inasprendo le pene per una serie di reati che sono tradizionalmente strumenti della lotta di classe: dalle occupazioni, al blocco stradale fino al travisamento, solo per citarne alcuni.
Il nuovo DDL 1660 di Nordio, Piantedosi e Crosetto rappresenta un salto in avanti: attacca direttamente e espressamente ogni tipo di manifestazione di dissenso politico sia in termini quantitativi, attraverso l’ulteriore inasprimento delle pene, che qualitativi, con l’inserimento di nuovi reati tra cui quello del “terrorismo della parola”.
La guerra sul fronte interno corrisponde al tentativo di colpire e disarticolare, meglio se preventivamente, ogni forma di incompatibilità con il futuro prossimo che questo sistema ci prospetta: guerra e sempre maggiore sfruttamento.
La guerra è “stato d’emergenza” generalizzato.
Ciò che abbiamo visto realizzarsi in contesti specifici legati a territori colpiti da terremoti o alluvioni, oppure in termini più generali durante il periodo pandemico, con l’assegnazione di poteri in deroga ai “commissari straordinari”, rappresenta a tutti gli effetti il termine di gestione di ogni contesto da parte dello Stato che dobbiamo essere in grado di contestare e contrastare in ogni contesto.
Il “terrorismo della parola” è un reato legato alla continua ridefinizione della categoria di terrorismo.
Potrà essere utilizzato in modo arbitrario. Qualsiasi tipo di contenuto che, in forma scritta o parlata, metta in discussione l’ordine dello Stato potrebbe esser colpito.
Questo reato chiarisce anche ai più restii cosa significasse dire che “il 41bis riguarda tutti e non solo che ci finisce dentro”.
Il “terrorismo della parola” infatti rappresenta la generalizzazione delle motivazioni con cui Alfredo Cospito è stato rinchiuso proprio al 41bis.
Se capiremo con il tempo come si svilupperanno i processi relativi a questo reato, crediamo però sia necessario sottolineare ciò che si potrebbe produrre già dalla fase di indagine preliminare.
Non stiamo facendo supposizioni ma parliamo di ciò che altre tipologie di reato ci hanno già messo davanti.
Accuse di associazione a delinquere o sovversiva difficilmente hanno portato a condanne in via definitiva.
Allo stesso tempo però, l’iscrizione nel registro degli indagati con quei capi d’accusa ha costretto tanti compagni e compagne a misure cautelari importanti, dal carcere, ai domiciliari fino agli obblighi di firma.
Quest’impianto risponde alla logica di anticipare la punizione prima che sia possibile ogni difesa legale, va sommandosi a una serie di dispositivi extragiudiziali come il daspo, l’avviso orale e la sorveglianza speciale e ad una riforma della procedura penale che ha il chiaro obiettivo di limitare il lavoro degli avvocati.
Per questo possiamo affermare che siamo davanti alla costruzione di uno Stato Penale che si ridefinisce continuamente e coerentemente con lo Stato di Guerra.
Tutto ciò può modificare l’approccio stesso alla lotta. Tale livello di scontro infatti può generare l’illusione che, rimodulando la propria azione e il rapporto con la controparte, sia possibile evirare le ricadute della repressione.
Se da un punto di vista soggettivo queste contromisure sembrano funzionare, almeno nel breve periodo, da un punto di vista più generale in realtà sono funzionali alle logiche di isolamento e criminalizzazione di altri ambiti: ciò comporterà nel lungo periodo un ulteriore arretramento della soglia di ciò che verrà consentito e che riguarderà tutte e tutti: “cedere poco oggi, vuol dire capitolare molto domani”.
Pensiamo che la solidarietà sia un elemento imprescindibile, che non debba limitarsi all’aspetto testimoniale ma essere motore di un’azione politica contro la repressione attorno alla quale si crei sostegno, dibattito, coinvolgimento, mobilitazione e crescita di consapevolezza.
Anche per queste ragioni, una parte dell’autofinanziamento realizzato con le ultime edizioni dello Sgrana e (Tra)Balla e della Tatoo Circus organizzate al CPA andranno a sostenere le spese legali dei compagni e delle compagne di Napoli, oltre ad altre realtà e contesti di lotta su cui saremo più precisi in un prossimo comunicato.
Infine, la lotta contro la repressione deve esser necessariamente un elemento nello sviluppo della mobilitazione contro la guerra, proprio perché ne rappresenta il fronte interno.
Per quanto ci riguarda pensiamo che la manifestazione convocata a Firenze per il 21 Settembre dal Comitato NO Comando NATO né a Firenze né altrove debba esser rafforzata anche in questo senso.