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Ramy non è morto, Ramy è stato ucciso!

TG3 ha rilasciato il video del folle inseguimento del motorino su cui si trovava Ramy. In quel video trova conferma la versione da sempre sostenuta dagli amici e dagli abitanti del quartiere: non c’è stato nessun “errore”, è stato un omicidio.

Fares non ha perso il controllo del mezzo, è stato speronato dalla volante, dopo altri tentativi andati a vuoto.
“Vaffanculo, non è caduto!”, “No… non è caduto!”,“Sono caduti… Bene!”
Sono queste le parole dei militari mentre tentano forsennatamente di tamponare il mezzo, consci del fatto che Ramy avesse anche perso il casco e che quindi una caduta a quella velocità poteva significare solo morte.
Cade così come ogni volta il castello di carte erto in quattro e quattr’otto in difesa degli sbirri: si è trattato di un errore più o meno tragico, la cui colpa comunque è sempre di un ragazzo che “perde il controllo del mezzo”.

Non è andata così.
Lo pensavamo già, oggi ne siamo certi: Ramy non è morto, è stato ucciso, come tanti prima di lui.
Come Federico Aldrovandi, come Giuseppe Uva, come Stefano Cucchi. Come Riccardo Magherini, di cui ricordiamo in un video altre parole, quelle strazianti di chi chiedeva aiuto mentre i carabinieri lo soffocavano a morte sulle strade di san Frediano, o come Davide Bifolco, morto anche lui giovanissimo dopo un inseguimento folle: tutte persone che per un motivo o per un altro si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato o attraversavano un momento di debolezza, magari vivevano vite ritenute non compatibili con questo sistema, al di fuori dell’ordine e del decoro borghese, vite che quindi non hanno valore e che quando vengono stroncate provocano un “Bene” e un respiro di sollievo.

Per loro.

A noi provocano rabbia, quella stessa rabbia che nei giorni a seguire è scoppiata a Corvetto e che ha impedito allo Stato di mettere a tacere l’intera faccenda.
Quella rabbia di chi nelle periferie vive ogni giorno gli abusi e le violenze di chi grazie alla divisa sa di poter contare sulla più totale impunità. Una rabbia che fa paura allo Stato e che infatti ha provocato molte più reazioni e molta più indignazione dell’omicidio di un ragazzo di 19 anni.

Si condanna la violenza, ma solo quando non è di Stato, solo se disturba la legalità e il decoro, solo se è la violenza legittima di chi ha perso un membro del suo quartiere e vuole farla pagare ai responsabili.Ramy era un ragazzo, un ragazzo che ha vissuto una vita come tanti altri. Ramy era uno, ma di casi come lui ce ne sono a centinaia. Ramy, come tutti coloro che muoiono sotto i colpi della violenza di questo stato, vive e vivrà in tutte le lotte.