Giovedì 9 giugno H 20.30 @ Presidio permanente in Gkn – Via Fratelli Cervi, 1
Continuazione della discussione dell’assemblea del 15 maggio, la convergenza e il processo qua a Firenze, il punto sulla vertenza Gkn e su come continuare.
Il documento integrale presentato come base di discussione dell’assemblea del 15 maggio:
#insorgiamo un processo, un metodo
1. Insorgere per convergere, convergere per insorgere: i due momenti non sono separati o separabili.
In ogni territorio, luogo di studio, di lavoro, siamo chiamati a dar vita o seguito a scadenze di lotta, vertenze, movimenti capaci di cambiare i rapporti di forza. E perché tali momenti di lotta si producano e si consolidino, è necessario che attorno ad essi si sviluppi la massima convergenza. E’ un patto di mutuo soccorso tra soggetti, movimenti, strutture, collettivi e realtà di base siano essi in fase di avanzamento o ripiegamento. Ma non è solo questo. E’ un’influenza reciproca, un circolo virtuoso di teorie, programmi, pratiche e perfino divergenze. La convergenza non conforma, non appiattisce, non rifugge le differenze. Determina solo un campo dove esse si possono confrontare e persino verificare se superarsi reciprocamente.
2. Radicalità: insorgenza e convergenza possono esistere e svilupparsi solo nella radicalità, intesa come capacità di andare alla radice, individuando idee e pratiche conseguenti.
Le lotte nei luoghi di lavoro diventano radicali ed efficaci quando si nutrono della convergenza di tutti i settori lavorativi e di tutto lo spettro dei loro problemi, dagli appalti al precariato, dai settori industriali a quelli della conoscenza, dall’impiego pubblico al privato, dalla questione salariale a quella della salute e del riposo. E la lotta radicale di lavoratrici e lavoratori non può che abbracciare l’intera questione sociale, come il diritto all’istruzione, alla casa, alla salute, alla pensione. E la questione sociale si nutre a sua volta della radicalità della questione ambientale. Giustizia climatica è giustizia sociale. Entrambe si alimentano a loro volta della necessità radicale di rapporti diversi tra le persone, tra generi, e quindi della lotta contro il patriarcato, per i diritti civili, per la salute fisica e mentale e lo sviluppo armonioso di società e individuo. E tutto questo non può che a sua volta alimentare e alimentarsi della radicale opposizione alla guerra, concepita come uno dei fenomeni più totalizzanti e violenti radicati nel sistema stesso.
3. Per questo, per altro per tutto: tra tutti questi piani, quindi, cessa ogni ordine di gerarchia e ogni contrapposizione formale.
Cessano di essere “categorie” per diventare parte di un’unica urgenza di cambiamento. A seconda dello spazio, del tempo e purtroppo anche dagli attacchi imposti e ricevuti, si potrà determinare nella nostra azione e nel nostro dibattito un “prevalente”, un “questo”, senza che il resto venga azzerato. Il 25-26 marzo ha segnato un punto di non ritorno: ogni lotta è “per questo, per altro, per tutto”. Ogni lotta prende atto di dover influire virtuosamente sul resto delle mobilitazioni in corso e di essere collegata a un “tutto”. Questo vale sul terreno della pratica ma anche dell’elaborazione. La nuova classe dirigente deve mantenere la propria capacità di andare in profondità dei problemi. Non azzera la propria elaborazione di lungo corso o la capacità di approfondire il singolo tema. Contestualizza le proprie scadenze e priorità, senza correre dietro all’ultima emergenza imposta. Essa non vive di slogan, ma di ragionamenti complessi che possono semmai essere tradotti in slogan efficaci.
4. Cambiare i rapporti di forza, qui e ora.
Sappiamo di non avere oggi la forza e la capacità di cambiare lo stato di cose presente, ma ogni nostro passo deve misurarsi con questo obiettivo. E’ bandita ogni forma di testimonialità e minoritarismo. Non ci interessa l’attivismo per l’attivismo, la resistenza per la resistenza. Ci interessa che ogni nostro atto di lotta, iniziativa, scadenza, azione, possa convergere e quindi rafforzare un processo di cambiamento. Ogni “tenetevi liberi” lanciato è parte di questo processo e annuncia al resto del paese che è in atto il rafforzamento del cambiamento.
5. Non abbiamo più nulla da difendere, quindi non siamo più sulla difensiva.
Loro sono il vecchio, noi siamo il nuovo. Ciò che diciamo e chiediamo è logico, giusto, naturale. L’onere di dimostrare perché quanto chiediamo non sia fattibile ricade sul sistema stesso. Sono loro a doversi difendere dalle nostre proposte, non viceversa. La nostra piattaforma si alimenta dell’esperienza reale della nuova classe dirigente, la classe lavoratrice, e si articola attorno ad alcune convinzioni generali:
a) il capitale deve cedere, il lavoro deve avere. Perché la realtà dimostra che finora è avvenuto il contrario e così facendo la società è in continua regressione.
b) non esiste contrapposizione tra questione sociale e ambientale. Anzi, il programma sociale deve discendere dall’urgenza della questione ambientale. Non viceversa. Perché i sistemi sociali sono creati dall’umanità e l’umanità non ha altra casa che questo pianeta.
c) la più completa estensione dei diritti civili necessita dei diritti sociali. E non si può difendere i diritti sociali se parte della popolazione è privata di quelli civili.
d) la guerra, l’inquinamento, la disuguaglianza, lo sfruttamento sono forze materiali. Non sono iatture o cattivi costumi. Sono generati da interessi economici e da uomini ad essi collegati. L’enorme concentrazione della ricchezza, di multinazionali, Borsa, rendita, banche, debito, grandi opere, grande industria, non si autoriformerà mai. E ha in mano il potere politico, statale, mediatico. A tale forza materiale, con il suo intreccio di poteri, va contrapposta un’altra forza materiale, di natura pubblica. Ma non abbiamo nessuna illusione che l’intervento pubblico da noi invocato possa essere praticato o anche solo progettato dall’attuale classe dominante, da uomini e istituzioni formatisi all’ombra e alle dipendenze dei meccanismi di questa società. Quando parliamo di intervento pubblico e nazionalizzazioni concepiamo un processo che si può dare solo come risultato di una forza materiale che emerga dal basso della società
e) la nuova classe dirigente non può emergere in una società verticale e gerarchizzata o in una asfittica democrazia rappresentativa, basata sull’apatia di milioni di persone affogate nel ricatto del precariato, nella sfida per la sopravvivenza e immerse nell’informazione generata da un complesso mediatico che trasuda conformismo e qualunquismo. Per questo lottiamo per forme di democrazia partecipativa praticata da territori, luoghi di lavoro e di studio che insorgono.
6. Soggetti organizzati non in concorrenza settaria tra loro.
La convergenza non è un intergruppo, non è un accordo tra vertici, non è una forma di diplomazia tra ceto politico o sindacale. Pur tuttavia, non è pensabile che essa si dia nel permanere di forme di competizione di natura settaria tra organizzazioni sociali, politiche, sindacali e perfino studentesche.
7. Sciopero generale e generalizzato.
Si stanno aprendo spiragli di mobilitazione importanti. Il 25 e 26 marzo ne sono stati una piccola dimostrazione. Ma pur sempre di spiragli stiamo parlando.
Tali spiragli vanno allargati e consolidati. Dobbiamo rifuggire la tentazione di agitare lo sciopero generale come una “x” da mettere sul calendario. Un vero sciopero generale, per essere tale, deve avere capacità di fermare l’intero Paese, di imporre con efficacia la propria agenda di cambiamento alla società e di darsi continuità. Per questo concepiamo la proposta di sciopero generale non come una data, ma prima di tutto come un processo. Nessuno sciopero generale di massa è il puro risultato del semplice sforzo organizzativo di una organizzazione sindacale. Esso è soprattutto il punto più alto, lo sbocco organizzato, di una effervescenza e di un fermento generalizzato nella società. Tale grado di effervescenza è oggi ancora insufficiente. Per questo lo sciopero generale va preparato con la generalizzazione dell’idea stessa di sciopero. Ogni data di “sciopero”, ogni piazza, ogni scadenza, ogni occupazione, è utile nella misura in cui si considera una tappa di tale generalizzazione. Senza generalizzazione non c’è sciopero generale e non c’è sciopero generale se non si prepara la sua generalizzazione.
8. Fuori dall’emergenza, dentro l’urgenza di cambiamento.
Il sistema salta dalla pandemia alla guerra, da un’emergenza all’altra: quelle che vengono definite “emergenze” sono il risultato delle sue stesse crisi.
In nome della strategia emergenziale, tutte le contraddizioni che si determinano nel processo di accumulazione della ricchezza, nel processo di privatizzazione dei profitti e della socializzazione dei costi, vengono restituite come contingenti ed immediate, decontestualizzate dalla loro complessità politica e sociale.
Quando parliamo di “emergenza” intendiamo una vera e propria pressione emotiva e culturale nel dibattito pubblico tesa a giustificare un continuo stato d’eccezione.
Il continuo richiamo alla “emergenza” polarizza le posizioni, tende a semplificarle e banalizzarle, impedisce di indagare la reale e comune radice che produce la crisi di questo sistema.
Ciò permette poi di criminalizzare e isolare le posizioni dell’emancipazione per colpire chi si oppone alla conservazione e la reazione. Stiamo parlando del restringimento degli spazi di agibilità politica e sindacale, di misure repressive ma non solo: nello “stato d’eccezione” la classe dominante agisce producendo le condizioni per un sempre maggiore e continuo sbilanciamento dei rapporti di forza a proprio vantaggio.
E così, mentre la società vive in un continuo stato di fibrillazione, le urgenze reali vengono derubricate a data da destinarsi. Noi, al contrario, dobbiamo chiarire che ci poniamo al di fuori dalla loro “emergenza” ma dentro la nostra urgenza: il cambiamento qui e ora. Che l’uscita dalla povertà, dalla precarietà, dalla violenza di questa società, dall’ingiustizia climatica, e la conseguente riconversione produttiva, sono un’urgenza irrimandabile e necessaria.
9. Un processo, un metodo, una campagna, un’agenda.
La continuazione del processo che ha dato vita alle piazze del 25-26 marzo sarà il risultato di una responsabilizzazione collettiva o non sarà affatto. La convergenza sarà pratica diffusa e continua o non sarà affatto. La credibilità e l’autorevolezza di questo processo è oggi nelle mani di tutte e tutti coloro che se ne ritengono parte. “Insorgiamo” oggi è un campo concettuale, un processo in sviluppo, un metodo. Non c’è nessuno “a guardia” di tale processo e di tale metodo se non la consapevolezza collettiva della sua importanza. E tale processo oggi non si può mettere a verifica se non attraverso campagne e una agenda comune. Da tutto questo discendono le nostre proposte.
10. Proposte.
– “Per questo, per altro e per tutto” diventa il motto di riferimento da usare per ogni campagna, vertenza, lotta, movimento che si riconosca nel processo stesso
– Lanciamo una campagna “Fuori dall’emergenza, dentro l’urgenza”, in grado di essere cornice di tutti i ragionamenti di convergenza.
– Lanciamo un nuovo “Insorgiamo tour” che attraversi i mesi estivi e che termini con un “tenetevi liberi” in autunno.
– L’obiettivo è che l’Insorgiamo tour non sia solo una serie di assemblee o incontri, ma veri e propri momenti di piazza. Il 26 marzo va riprodotto e articolato in piazze territoriali, meglio se regionali o macroregionali. Suggeriamo di dar vita a piazze regionali o macroregionali a partire dall’ultimo fine settimana di giugno e dal primo di luglio.
– Guerra e inflazione sono in questo momento un prevalente nella vita di milioni di persone. Andranno affrontate con tutte le caratteristiche che abbiamo finora descritto. Ma dato il loro carattere prevalente dovranno inevitabilmente caratterizzare i primi passi della campagna “Fuori dall’emergenza, dentro l’urgenza”, dell’Insorgiamo tour e delle prossime piazze.
– Con lo spirito sopra descritto attraverseremo la data del 20 maggio, lo sciopero generale indetto da grossa parte del sindacalismo di base contro la guerra.
– Riteniamo che la lotta contro la base militare a Coltano, nel pisano, possa e debba essere un momento di allargamento dell’insorgenza e della convergenza perché in quella vicenda convergono tutti i temi centrali nel 25-26 marzo. E perché lì c’è un territorio che può e deve imporre i propri rapporti di forza. Per questo diamo centralità alla mobilitazione che è in discussione il 2 giugno su questo tema.
– Lanciamo un nuovo “tenetevi liberi per l’autunno”. Perché ciò che abbiamo fatto il 26 marzo lo possiamo rifare. E questa volta la sfida che dovremo affrontare sarà l’articolazione di una data sui diversi territori, per preparare un nuovo momento nazionale.
– La convergenza si deve tradurre anche nella creazione di una rete di pagine social, di media solidali e alternativi in grado di allargare consenso e conoscenza delle diverse tappe del processo